Al pallido chiarore della luna che vagava silenzioso e discreto nella cameretta di Corrado, un gatto ronfava tra le coperte sgualcite. Il sonno profondo del ragazzo lo proteggeva da quel brusio, che si spandeva tra mobili vecchi e corrosi. Sonno troncato dal vociare di Ascanio il pastore, che incalzava il suo piccolo gregge al pascolo. A rompere il silenzio del mattino era l’abbaiare del suo cane.
La luce vivida dell'alba lo fece balzare dal letto, si vestì in fretta e furia; si rammaricò dentro di sé per aver ceduto alle lusinghe delle lenzuola. Erano tante le cose che doveva sbrigare, ora che la cura della casa era esclusivamente sulle sue spalle.
Al ritorno la ragazza lo invitò una sera a cena, per sdebitarsi del favore che lui le aveva fatto. Prima di lasciarsi, lei raggiunse la camera, ne uscì con un vestito scuro in mano, da cui spuntava una rosa da molto tempo rinsecchita.
Di gran carriera, scese le scale; in cucina spalancò le finestre per scacciare l'odore della minestra di rape che aveva cucinato la sera prima.
Da poco si trovava a vivere da solo, avendo perso i genitori, strappati a quelle valli, che tanto amavano, da un contagio di colera che, improvviso si era abbattuto per le vie della contrada. Un’epidemia che non aveva avuto pietà nemmeno dei bambini, carpendoli con crudeltà dai seni delle loro mamme.
Dalla finestra del bagno Corrado scorse del fumo che s'innalzava dal cortile dell'abitazione di Lisetta, anche lei rimasta orfana da qualche giorno: aveva perso il papà vedovo a causa di un incidente di caccia.
Lisetta aveva pressappoco la sua età, entrambi avevano frequentato le scuole elementari in classi diverse. Una cascata di capelli corvini le sfiorava il volto, che sembrava essere stato modellato da qualche divinità greca in un momento di estasi. Volto da cui sbocciavano due occhi,
che sfumavano in un azzurro intenso, incorniciati da sopracciglia nero ebano. Il suo corpo leggiadro sembrava essere sfuggito dalle mani di uno scultore, legittimato a mostrare quel prodigio della natura.
Lisetta era entrata nella sua vita sin dalla più tenera età, similmente ad un raggio di sole al crepuscolo primaverile del mattino.
Preoccupato per l'odore acre, che si diffondeva dal cortile nel retro della sua casa, il giovane si precipitò a sincerarsi che nulla di grave le stesse accadendo.
Da un cumulo di panni si alzava un fumo nero, che a stenti scivolava verso l'alto nell'aria tiepida del mattino. Lei, che non si era accorta di lui, continuò con movimenti affrettati a ravvivare quello strano rogo.
«Lisetta! Lisetta!» tuonò Corrado, mettendosi un fazzoletto sulla bocca. Lei sollevò gli occhi, arrossati per il fumo.
«Corrado! Allontanati, se non vuoi che il fumo ti avveleni, come sta avvelenando me!» esclamò, tossendo.
«Cosa stai facendo?» le chiese il ragazzo, mettendosi una mano sul volto, per proteggersi dalle faville che insieme alle lingue di fuoco fuggivano verso l'alto.
«Sto bruciando i panni dei miei; non voglio vederli per casa, non voglio alcunché che mi riporti alla mente i loro volti sorridenti, sfregiati dal pallore della morte. È nel mio cuore che devono vivere, non nelle cose» pronunciò con il volto arrossato. Corrado rimase pensoso per un po', poi la salutò con un sorriso. Quell’affermazione di Lisetta gettò un'ombra di dubbio nelle sue già fragili convinzioni, che gli erano state inculcate dai suoi sin da fanciullo.
«I cari vivono anche attraverso gli oggetti che sono stati di loro appartenenza» gli ripeteva spesso sua madre. Con l'avvicinarsi dei primi freddi di novembre Corrado si aggirava per tutto il giorno fra piante di ulivi, per sincerarsi del raccolto, ripensando di tanto in tanto alle parole della ragazza. A differenza di Lisetta, il ragazzo custodiva ogni piccolo oggetto appartenuto a sua madre e suo padre, perché gli ricordavano la sua infanzia felice trascorsa insieme a loro.
Qualche giorno dopo, Lisetta considerò l'idea di recarsi da una sua zia, sorella di sua madre. La donna, costretta a letto da una grave malattia, non era venuta a conoscenza della morte dei suoi genitori; da lei si trattenne per alcuni giorni. Prima di partire, Lisetta affidò a Corrado la cura della casa e la custodia del cane. L’animale aveva dimostrato una forte simpatia per Corrado sin da cucciolo. Riconosceva i suoi passi anche da lontano, e allora iniziava ad abbaiare festosamente.
«Era di mia madre, lo ha indossato quando si è sposata con mio padre» disse, rivolta a Corrado, che stava finendo di bere un bicchiere di vino. Lui la guardò fisso negli occhi, nel suo guardo percepì un lampo di desiderio enigmatico.
«Quello perché non lo hai bruciato?» le fece eco, sorridendo.
«Lo brucerò la mattina dopo che mi sarò concessa all'uomo che sposerò» concluse lei, con uno sguardo allusivo che Corrado lesse come una velata offerta di matrimonio. Dopo quella sera, Lisetta non fece più cenno a quell’argomento.
All'inizio dell'estate, terminati i lavori nei campi, i due ragazzi ebbero più tempo di stare insieme. Spesso si recavano ad una fonte ad attingere l’acqua. Lì giovano a gettarsi l’acqua addosso. Corrado non perdeva occasione, per palpeggiarle il corpo. Lei facendo finta di niente lo lasciava fare.
Il ragazzo, appena compiuti i diciotto anni decise di prendere la patente, per poi acquistare una macchina da un suo zio, che non era più in grado di guidare.
La sera di ogni domenica si recava al cinema; sin da piccolo sognava di frequentare le sale cinematografiche. Più di qualche volta aveva invitato anche Lisetta, ma lei aveva sempre qualcosa da fare in casa.
Una sera stava per partire più agitato del solito, al cinema davano un film con un'attrice, che rendeva irrequieti i sogni di molti uomini italiani. Anche lui, infatuato di quella celebre attrice, vagheggiava ad occhi aperti sulle forme del suo corpo. Aveva appena finito di ricomporre un piccolo divano in un angolo della cucina, quando all’improvviso sulla porta apparve Lisetta. Indossava una veste di colore blu chiaro, su cui pallini gialli sembravano accarezzarne sfacciatamente il corpo acerbo. Le forme, dono della natura, completavano quella scultura vivente. I capelli, raccolti a coda di cavallo, mettevano in risalto il suo collo grazioso, da cui scendeva una collanina d'oro, impreziosita da uno zaffiro porpora. Corrado, non credendo ai suoi occhi, si lasciò andare ad un'esclamazione di stupore.
«Meravigliato! Non vuoi che venga al cinema con te?» pronunciò la ragazza atteggiando le labbra, lievemente accarezzate da un velo di rossetto, ad un sorriso accattivante. Corrado, sorpreso e imbarazzato, si affrettò a farla entrare.
«Non mi dai niente da bere? Questa sera voglio fare follie» pronunciò lei, mentre si accomodava su un piccolo divano. Corrado frastornato riempì due calici di vino moscato.
«È l'ultimo vino di mio padre, se vuoi te ne regalo una bottiglia» le disse, con la voce vacillante.
«No! Conservala per questa estate» mormorò lei con fare civettuolo.
In macchina Lisetta gli parlò del raccolto e del progetto di ripristinare il tetto della casa, danneggiato dal temporale scatenatosi nella contrada qualche mese prima. Corrado, disorientato dall’inaspettata condotta della ragazza, si sentì vacillare. Cos’era accaduto in quella donna che l'aveva spinta ad accettare il suo invito? sempre rifiutato in precedenza! Donna padrona delle sue emozioni e sempre controllata nei suoi confronti? Con queste considerazioni nella testa, il ragazzo non sentì la cassiera che gli chiedeva: «Galleria o platea?».
«Galleria» si affrettò lui a rispondere, mentre cercava i soldi nelle tasche.